NÓSTOI
Del suo ritorno il dì più non s’accende
Di: Un Uomo Libero
Nòstoi. Celebravano il ritorno degli eroi dalla guerra di Troia. Storie dense nelle quali le gesta cantavano la gioia e la malinconia, la memoria e il lutto. Quanti ritorni da una guerra antica ha conosciuto l’anima di un uomo nel tempo della vita. A volte guerre spietate combattute contro la sua stessa volontà, contro il suo desiderio, contro il suo presunto delirio. Attimi rubati al subconscio. Emersi in lampi di verità negli anni sotto il peso del quotidiano sopravvivere. Ero in una città della Sicilia, tempo fa, e là amici mi chiedevano con molto interesse che cosa mi avesse spinto e determinato a lasciare le mie certezze, a “fuggire” dalle mie abitudini, a scegliere luoghi lontani e nuovi per vivere. Ero senza parole, svuotato dalla curiosità che mi interpellava e alla quale non sapevo dare risposte. In quella domanda lampeggiavano -lo sentivo- la malizia di un’invidia, l’ammirazione per un coraggio che non si voleva pensare, il peso delle catene inevitabilmente espresso da radici profonde e inestirpabili. Li delusi. Perché non raccontai le mie fughe, bensì i miei ritorni. Le ansie che li accompagnavano, i pensieri che li precedevano, le tachicardie del cuore alle prime luci della città antica. Il silenzio solenne e materno delle rovine accoglieva le mie angosce, sublimava i miei timori, castigava, celandosi tra ombre, la mia smania di indipendenza. Indipendenza dalle memorie, dai ricordi che avevano segnato nel bene e nel male la mia vita. Quella vita che cercavo inutilmente di costruire altrove. Raccontai di un’antica affezione alle pietre, alle immagini coagulate sulle mie pupille distratte, nelle notti d’estate, da una luna nuova e lontana, del continuo rimando di una lingua a una storia, a una tradizione, a un’antica fortuna. Mi accorsi che la Terra era così dentro di me che io ero parte di Essa. Che io stesso ero voce, lamento, canto, preghiera. Non potevo dunque distinguermi. Insostituibile parte di un tutto che era sopravvissuto ai numerosi venti agitati della storia. Il mio sangue era un antico miscuglio di uomini. Era forse questo il segreto della certezza malinconica che mi attirava come calamita tra le vecchie mura. Era questo il segreto della fierezza con cui mi dichiaravo alle etnie del mondo. Era questo il senso vero, l’ultimo e l’unico, della mia inquietudine.